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Ufficio stampa UnionAlimentari 
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"L’ITALIA, CHE NON C’E’!” IL MISE CONCEDE IL PATROCINIO ALLA CAMPAGNA DI UNIONALIMENTARI

Dopo il Consiglio Nazionale Anticontraffazione, anche il Ministero dello Sviluppo Economico ha concesso il patrocinio all’iniziativa lanciata da UnionAlimentari per contrastare il falso made in Italy e stimolare le autorità di controllo ad intervenire laddove necessario.
L’idea alla base della campagna di informazione, intitolata "L’Italia, che non c’è!” e condivisa dal Ministero, è raccogliere le segnalazioni da parte dei consumatori stessi rispetto alle pratiche sleali e ingannevoli di comunicazione adottate dai produttori stranieri, che spacciano per italiano cibo che nulla ha a che fare con il nostro Paese. Chiunque, in viaggio all’estero per turismo o per lavoro, può scattare una o più foto dell’etichetta del prodotto alimentare tarocco e inviarle a falso@unionalimentari.com , fornendo più indicazioni possibili come luogo esatto e punto vendita dove è stata scattata la foto.
Sarà quindi compito dell’associazione, dopo una prima analisi legale, segnalare il caso alle autorità per sollecitare un intervento da parte degli organi di controllo. Lanciata a dicembre, l’iniziativa sta prendendo piede e sono al vaglio dell’ufficio legale dell’UnionAlimentari alcune segnalazioni.
«Accogliamo con piacere il riconoscimento del Mise al nostro impegno in difesa dell’export delle imprese alimentari – è il commento del presidente nazionale di UnionAlimentari, Antonio Casalini – Contrastare comportamenti che danneggiano il nostro Paese sia in termini economici si di immagine è fondamentale per la salvaguardia delle nostre aziende. L’iniziativa – ha quindi aggiunto Casalini – ha anche l’obiettivo di stimolare tutti noi ad una maggiore attenzione alle etichette dei prodotti che stiamo per acquistare».


Allegati:
ITALIA Che non....pdf [318.3 KiB]
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13/04/2018, 15:12
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Programma dell’evento organizzato da Confapi Industria Piacenza, con il patrocinio di Confapi nazionale, Istituto italiano imballaggio, UnionAlimentari, Regione Emilia-Romagna e Provincia e Comune di Piacenza.
"Il packaging oltre il packaging: imballaggi, economia e società” il titolo del convegno che vuole proporre una riflessione sul tema del packaging, un’analisi delle tendenze, sfide per crearne di nuovi e per il riutilizzo di quelli esistenti. Ad oggi l’industria alimentare utilizza il 70% degli imballaggi prodotti.
Da qui un maggior impegno a favore della sostenibilità e della cultura del riciclo.
Al convegno partecipa il presidente UnionAlimentari, Antonio Casalini.

L’appuntamento è per giovedì 3 maggio al campus bancario Credit Agricole di via san Bartolomeo a partire dalle 14.
Grazie per la tua cortese attenzione e resto a disposizione per eventuali altre informazioni.
IL PACKAGING OLTRE IL PACKAGING: IMBALLAGGI, ECONOMIA E SOCIETA'
Giovedì 3 Maggio 2018
Campus Gruppo Bancario Crédit Agricole - Via San Bartolomeo, 40 - Piacenza

Programma
Modera Michele Rancati, Telelibertà

ore 14,00 Registrazione partecipanti

ore 14,30
Saluti iniziali - Cristian Camisa, Presidente di Confapi Industria Piacenza

ore 14,45
Apertura lavori e introduzione - Alberto Palaveri, Vice Presidente Giflex

ore 15,15
Imballaggi flessibili per alimenti: nuovi e sicuri - Andrea Cassinari, Quality Regulatory Affairs manager - Cellografica Gerosa S.p.A.

ore 15,45
Guardare oltre: le nuove tendenze del packaging - Pier Benzi, Designer Innovation Director Artefice Group

ore 16,15 Coffee Break

ore 16,30
Sostenibilità e sviluppo del packaging - Marco Sachet, Direttore Istituto Italiano Imballaggio

ore 17,00
Premiazione video vincitori del concorso "REPACK" - Anna Paola Cavanna, Vice Presidente Laminati Cavanna S.p.A. e Presidente della Commissione di valutazione

ore 17,30
Collaborazioni future - Antonio Casalini, Presidente UnionAlimentari
Chiusura lavori - Cristian Camisa, Presidente di Confapi Industria Piacenza

ore 18,00 Aperitivo di Arrivederci

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27/04/2018, 16:25
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PACKAGING, UNIONALIMENTARI PER LA SOSTENIBILITA’ AMBIENTALE
CASALINI: «VERSO UNA NUOVA CULTURA DEGLI IMBALLAGGI»

UnionAlimentari e Confapi per la sostenibilità ambientale. Guarda in questa direzione il convegno che si è svolto giovedì a Piacenza intitolato "Il packaging oltre il packaging: imballaggi, economia e società”, tavola rotonda, organizzata da Confapi Piacenza che ha coinvolto, oltre ad alcune aziende del settore, anche le scuole. All’evento hanno partecipato gli studenti del liceo Respighi e dell’Isii Marconi, alcuni dei quali sono stati premiati per lavori sul tema. La presenza dei giovani ha uno scopo preciso.
«L’industria alimentare – ha spiegato il presidente di UnionAlimentari, Antonio Casalini – utilizza il 70% degli imballaggi consumati in Italia. Mi sono sentito in dovere di coinvolgere la mia associazione per dare un contributo sostanziale alla diffusione di una cultura nuova, che faccia quanto più possibile per far si che l’imballaggio non sia e non diventi un problema per il cittadino e per l’ambiente». Per far ciò è necessario «informare le aziende, gli addetti ai lavori e i consumatori. E’ necessaria la ricerca – ha aggiunto Casalini – per studiare nuove confezioni dei prodotti e le loro dimensioni, coinvolgendo anche i responsabili del marketing». Secondo Casalini bisogna quindi puntare a sperimentare materiali sostenibili «senza intaccare la sicurezza. Gli imballaggi di un prodotto a lunga conservazione o da esportare devono garantire la massima integrità per il consumatore». Per diffondere la cultura della sostenibilità anche in questo settore bisogna quindi coinvolgere i consumatori e implementare la raccolta differenziata.

Casalini ha quindi auspicato di rivedersi il prossimo anno sempre a Piacenza per continuare insieme questo importante percorso.

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04/05/2018, 16:50
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CIBI PRONTI E TRASFORMATI FANNO L’EXPORT ITALIANO
Casalini: «Il made in Italy è dato dalla qualità delle imprese di trasformazione alimentare»

Ci sono cioccolato, tè, caffè, spezie e soprattutto piatti pronti tra i prodotti del Made in Italy più esportati nel mondo e che hanno registrato una crescita importante nel 2017, +8,6%. Non mancano pane e prodotti di pasticceria (+10,8%), lattiero-caseari (+10,4%) e prodotti per l’alimentazione degli animali (+9,3%). Tutti alimenti trattati e confezionati dall’industria alimentare italiana, a conferma dell’alto valore qualitativo della nostra filiera.

E’ quanto emerge da elaborazioni della Camera di Commercio di Milano Monza Brianza Lodi su dati Istat, che ha certificato il record storico per l’esportazione del cibo italiano nel 2017: 40,2miliardi di euro, +5,5% rispetto all’anno precedente. «Sono cifre che certificano la qualità dell’industria di trasformazione alimentare italiana», ha spiegato Antonio Casalini, presidente nazionale di UnionAlimentari, che si è detto «soddisfatto perché ad elaborare i dati è stato un ente ufficiale neutro. Per gran parte dei prodotti trasformati elencati nello studio – ha quindi aggiunto Casalini – la principale materia prima è importata, a conferma che a fare il made in Italy è la qualità della trasformazione alimentare delle nostre industrie».

La Camera di Commercio ha quindi elaborato un focus sui principali Paesi che acquistano italiano: Germania, Francia, Stati Uniti, Regno Unito e Spagna concentrano la metà dell’export.Tutte le principali destinazioni sono in crescita, in particolare la Spagna con 1,6 miliardi (+13,3%) supera quest’anno la Svizzera. Prima la Germania (+2,5%) seguita da Francia (+8,1%), Stati Uniti (+4,9%) e Regno Unito (+2,7%). In forte crescita la Russia 17° (+23,8%) e la Cina 20° (+14,8%). Ma i prodotti "made in Italy” raggiungono anche Canada (11°), Giappone (12°), Australia (16°). E se la Germania e la Francia sono i primi acquirenti per quasi tutti i prodotti, gli Stati Uniti eccellono per vini, acque minerali e oli, la Spagna per pesce fresco, le Filippine e la Grecia per alimenti per animali. L’Austria è al secondo posto per cereali e riso, il Regno Unito per frutta e ortaggi lavorati e conservati. In forte crescita la Russia per bevande (+46%), alimenti per animali (+51%), il Portogallo per cioccolato, caffè e spezie (+57%), la Turchia per granaglie (+63%), l’Algeria per oli (+128%), Hong Kong per carni (+30%), l’Albania per pesci lavorati e conservati (+33%), Giappone e Cina per gelati (rispettivamente: +57%, +46,1%).
I maggiori esportatori italiani? Verona con 3 miliardi di euro circa, Cuneo con 2,8 miliardi e Parma con 1,7 miliardi, Milano è quarta con 1,5 miliardi, il 4% del totale, +6,5%. Bolzano 5°, Salerno 6° e Modena 7°. Tra le prime venti posizioni la maggiore crescita ad Alessandria (+28,3%), Mantova (+17,5%) e Ravenna (+12,6%). La Lombardiacon 6,4 miliardi di export rappresenta circa un sesto del totale italiano. Oltre a Milano, 4° in Italia, tra le prime 20 ci sono anche Bergamo 12° e Mantova 14° (era 18° lo scorso anno). A crescere di più sono Lodi (+34,1%), Monza e Brianza (+19,1%), Mantova (+17,5%) e Cremona (+15,2%). Como leader italiana in pesci, crostacei lavorati e conservati (32,1%, +10,8%) con Brescia 10° e Milano 19°, Lodi prima per prodotti lattiero-caseari dove rappresenta il 9% del totale nazionale, +40,6% con Mantova 3°, Cremona 6°, Brescia 7°, Bergamo 9° e Milano 15°. Pavia eccelle invece per granaglie, amidi e prodotti amidacei (16% nazionale), Milano è seconda per prodotti da forno e terza per cioccolata, caffè e spezie.

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16/05/2018, 22:26
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CIBO, SERVONO RISORSE E PIU' ATTENZIONE
NEI CONFRONTI DELLE PMI ALIMENTARI

«Che la nascita di un assessorato al Cibo sia un passo in avanti lo speriamo. A Fabio Rolfi chiediamo maggiori risorse e più attenzione alle piccole e media imprese della trasformazione alimentare, che fanno il Made in Italy nel mondo». Con queste parole Antonio Casalini,presidente nazionale di UnionAlimentari (2600 le imprese associate) intervistato sulla novità in Lombardia di un nuovo assessorato che comprende agricoltura e alimentazione, ha lanciato un appello alla politica per chiedere maggiore sostegno alle migliaia di Pmi italiane che quotidianamente producono «il cibo che consumiamo». Un appello rivolto anche ad Alessandro Mattinzoli, assessore allo Sviluppo economico della Regione Lombardia, che ha competenza diretta sull’industria di trasformazione alimentare e ai ministri Gian Marco Centinaio (Mipaaf) e Luigi Di Maio (Mise).

«Non più tardi di qualche giorno fa – ha insistito Casalini – è stato disposto un nuovo finanziamento per le Dop e le Igp, il che va benissimo. Non si può però continuare a sostenere solo un settore che vale una piccolissima percentuale dell’export italiano e non considerare tutto il resto». Degli oltre 40 miliardi di cibo italiano esportato all’estero nel 2017, le etichette Dop e Igp valgono 4 miliardi (il 95% realizzato da soli 10 prodotti), mentre tutto il resto è rappresentato da alimenti (di tutti i giorni) trasformati dalle industrie italiane medie e piccole: pane e prodotti di pasticceria (+10,8% esportato lo scorso anno), lattiero-caseari (+10,4%), prodotti per l’alimentazione degli animali (+9,3%), cioccolato, tè, caffè, spezie e soprattutto piatti pronti (+8,6%). Un esempio eclatante è proprio il caffè. In Italia non produciamo un chicco di caffè eppure siamo tra i più grandi esportatori al mondo di questo prodotto. Parole italiane quali "macchiato” e "cappuccino”, fanno oggi parte del lessico internazionale.

«Quello che fa la differenza rispetto alle altre nazioni – ha concluso Casalini – è la qualità della trasformazione, il saper fare delle aziende italiane. Questo però dobbiamo saperlo valorizzare di più, per questo chiediamo maggiore attenzione da parte delle istituzioni».

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20/06/2018, 19:35
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CIBO, SERVONO RISORSE E PIU' ATTENZIONE
NEI CONFRONTI DELLE PMI ALIMENTARI

«Che la nascita di un assessorato al Cibo sia un passo in avanti lo speriamo. A Fabio Rolfi chiediamo maggiori risorse e più attenzione alle piccole e media imprese della trasformazione alimentare, che fanno il Made in Italy nel mondo». Con queste parole Antonio Casalini,presidente nazionale di UnionAlimentari (2600 le imprese associate) intervistato sulla novità in Lombardia di un nuovo assessorato che comprende agricoltura e alimentazione, ha lanciato un appello alla politica per chiedere maggiore sostegno alle migliaia di Pmi italiane che quotidianamente producono «il cibo che consumiamo». Un appello rivolto anche ad Alessandro Mattinzoli, assessore allo Sviluppo economico della Regione Lombardia, che ha competenza diretta sull’industria di trasformazione alimentare e ai ministri Gian Marco Centinaio (Mipaaf) e Luigi Di Maio (Mise).

«Non più tardi di qualche giorno fa – ha insistito Casalini – è stato disposto un nuovo finanziamento per le Dop e le Igp, il che va benissimo. Non si può però continuare a sostenere solo un settore che vale una piccolissima percentuale dell’export italiano e non considerare tutto il resto». Degli oltre 40 miliardi di cibo italiano esportato all’estero nel 2017, le etichette Dop e Igp valgono 4 miliardi (il 95% realizzato da soli 10 prodotti), mentre tutto il resto è rappresentato da alimenti (di tutti i giorni) trasformati dalle industrie italiane medie e piccole: pane e prodotti di pasticceria (+10,8% esportato lo scorso anno), lattiero-caseari (+10,4%), prodotti per l’alimentazione degli animali (+9,3%), cioccolato, tè, caffè, spezie e soprattutto piatti pronti (+8,6%). Un esempio eclatante è proprio il caffè. In Italia non produciamo un chicco di caffè eppure siamo tra i più grandi esportatori al mondo di questo prodotto. Parole italiane quali "macchiato” e "cappuccino”, fanno oggi parte del lessico internazionale.

«Quello che fa la differenza rispetto alle altre nazioni – ha concluso Casalini – è la qualità della trasformazione, il saper fare delle aziende italiane. Questo però dobbiamo saperlo valorizzare di più, per questo chiediamo maggiore attenzione da parte delle istituzioni».

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22/06/2018, 12:44
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ALTRO CHE SEMPLIFICAZIONE. IMPRESE SEMPRE PIU’ VESSATE

Il Mipaaf diventa Mipaaft e l’etichetta «costa di più».

Nel mirino del Ministero delle Politiche agricole Alimentari e Forestali (MIPAAF) questa volta finiscono le aziende che producono Bio, Dop e Igp, ma se l’andazzo è questo, la tanto attesa semplificazione diventa un miraggio e, c’è da crederci, la burocrazia continuerà a rendere più difficile il lavoro alle imprese alimentari italiane.

Il Ministero ha complicato i requisiti di etichettatura degli alimenti biologici, Dop e Igp. Circa 280mila imprese dovranno infatti rifare la etichettatura (quindi nuovi costi) aggiornando l’acronimo Mipaaf in Mipaaft. Da quest’anno, infatti, il Ministero delle Politiche agricole Alimentari e Forestali (MIPAAF) è diventato Ministero delle Politiche agricole Alimentari Forestali e del Turismo (MIPAAFT), avendo conglobato la competenza anche sull’attività turistica. Alla sigla va aggiunta cioè la T di turismo e quindi le imprese che in etichetta riportano la dicitura "prodotto certificato da organismo autorizzato dal MIPAAF” dovranno adeguarsi. C’è da aggiungere tra l’altro che questa dicitura non è prevista da nessun regolamento europeo ed è quindi dubbia la legittimità di questa disposizione.

«Intanto – afferma Antonio Casalini, presidente di Unionalimentari – le industrie e gli artigiani che si occupano di cibo stanno aspettando la semplificazione burocratica promessa da un ministero che da sempre in agosto porta sorprese costose al settore della trasformazione alimentare». Mangiare (come sostiene qualcuno) non è un atto agricolo, ma è possibile grazie ad una attenta trasformazione delle materie prime provenienti dall’agricoltura che direttamente produce poco cibo.

«Ancora una volta – aggiunge Casalini – i burocrati del ministero, che di industria di trasformazione probabilmente sanno poco o niente, addossano costi e perdite di tempo ad un settore che produce qualità, cibo sano e sicuro ed ha fatto conoscere il made in Italy nel modo. L’industria alimentare – conclude – ha bisogno di tempi e regolamenti certi e non di fantasiose disposizioni».

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25/08/2018, 14:00
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Roma, mercoledì 5 dicembre 2018,

A Torino per sostenere le infrastrutture e lo sviluppo io c’ero, ma le PMI alimentari non vogliono partecipare a un gioco al massacro anziché a un confronto.
Ha ragione per certi versi il Vicepremier Salvini quando riferendosi alla grande industria afferma che “c’è qualcuno che è stato zitto per anni quando gli italiani, gli imprenditori e gli artigiani venivano massacrati… ora ci lasciassero lavorare e l’Italia sarà molto migliore di come l’abbiamo trovata”.
Tuttavia, abbiamo ragione anche noi quando chiediamo di non buttare quanto di buono è stato fatto, di proseguire nelle infrastrutture per crescere e poter competere ad armi pari con i nostri competitors nel mondo: le infrastrutture facilitano il trasporto delle merci, delle persone e crescita significa più occupazione, benessere, valore aggiunto e ricchezza, difesa del territorio, del turismo e la valorizzazione della nostra identità culturale.
Ben consapevoli che in 6/7 mesi è difficile “fare” quello che non è stato fatto negli ultimi anni, diamo certamente credito all’attuale governo, ma non accettiamo l’evidenza degli errori in silenzio, come lo stop a infrastrutture già avviate, al mantenimento di un livello di spread così elevato, ad una procedura d'infrazione, eccetera.
Tuttavia, questa posizione non vuole prestare il fianco a discussioni che non ci riguardano e che sembrano insinuarsi nelle posizioni più o meno filogovernative delle associazioni. Per essere chiari non riteniamo coerente l’esistenza di finanziamento/quote di adesione da parte di aziende pubbliche ad associazioni di categoria private!
L’industria alimentare ha sempre sostenuto la necessità di regole certe, sicure, chiare e condivise. Ha bisogno di strumenti per aiutare le nostre esportazioni (siamo il secondo settore per export). Le PMI alimentari e l’associazione che le rappresenta non hanno paura delle difficoltà, non cercano assistenzialismo, ma se il Governo crede veramente che le PMI siano l’asse portante della economia, ascoltateci e non trascurateci. Altrimenti assisteremo sempre più alla migrazione o alla svendita delle nostre imprese.
Perché prima di tutto è la competitività delle nostre imprese che può garantire il lavoro, come primo passo di quel costituzionale diritto della dignità umana che spetta ad ogni cittadino.

Antonio Casalini
Presidente UnionAlimentari-Confapi

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05/12/2018, 17:51
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Il mondo delle conserve è in fermento. Negli ultimi mesi le testate nazionali hanno dato ampio spazio agli scandali che hanno colpito il settore. Primo fra tutti, quello di Petti - Italian Food. L'azienda è attualmente indagata per aver venduto referenze spacciate per '100% italiane' e '100% toscane'. Ma, a dire degli inquirenti, di origine straniera. Il caso, salito agli onori di cronaca come Operazione Scarlatto, è stato seguito, a circa un mese di distanza, da un fatto simile. In un'azienda del Salernitano circa 821 tonnellate di semilavorato sono state confiscate. Di origine egiziana, venivano spacciate anch'esse per italiane. Per di più, presentavano ingenti quantitativi di pesticidi. A essere maggiormente danneggiati da tali truffe - perché di vere e proprie truffe si parla - sono proprio i consumatori, spesso ignari di quello che portano in tavola. Per fare luce sulle criticità che questo comparto si trova ad affrontare, abbiamo intervistato Gian Mario Bosoni, amministratore delegato di Emiliana Conserve e delegato UnionAlimentari - Confapi, l'Unione nazionale delle Pmi alimentari aderente a Confapi, per il settore conserve vegetali.

Sempre più spesso sentiamo parlare di pomodori di origine straniera spacciati per italiani. Come possiamo proteggere i veri prodotti made in Italy?
Esistono numerosi strumenti che permettono di analizzare la provenienza della materia prima contenuta all'interno dei prodotti derivati del pomodoro. Penso, ad esempio, al metodo isotopico, in grado di determinare l'area di provenienza di un pomodoro. C'è poi anche l'analisi multi-elementare, sviluppata e gestita dalla Stazione sperimentale per l'industria delle conserve alimentari (Ssica). Sono entrambe metodiche molto appetibili.

Vengono applicati questi provvedimenti?
Purtroppo no. Esistono, ma non sono stati applicati finora. O meglio, non a sufficienza. Nessuno dei due è mai stato ufficialmente riconosciuto. Non esiste una norma, una legge o un decreto che riconosca un metodo ufficiale.

Cosa si può fare al riguardo?
In qualità di delegato UnionAlimentari - Confapi, ho scritto all'Ispettorato Centrale Qualità e Repressione Frodi (Icqrf) affinché si attivasse per la validazione di un metodo. Sembra che qualcosa, finalmente, si stia muovendo. Il problema però è un altro.

Sarebbe?
La Stazione sperimentale di Parma è un laboratorio scientifico che risponde diretta mente alle industrie. Sarebbe un conflitto di interessi effettuare questo tipo di operazione su mandato e finanziamento di qualcuno che non siano le industrie stesse. Quindi, in realtà, ci vorrebbe un organo competente di natura pubblica. Al momento non esiste, ma sono convinto che verrà istituito. Ne abbiamo urgente bisogno.

Ci sono categorie di prodotto più a rischio rispetto ad altre?
Concentrati e passate di pomodoro sono referenze che si prestano più facilmente alle frodi. Il motivo è che il costo del concentrato di origine extraeuropea è sensibilmente più basso rispetto a quello italiano.

Da quali paesi proviene il concentrato a basso costo?
Gli ultimi scandali del settore conserviero hanno attirato l'attenzione su nazioni come Cina ed Egitto. Ma il concentrato arriva anche da Spagna e Stati Uniti, ad esempio. Il problema, di per sé, non è il prezzo a cui è venduto. Ma il motivo per cui arriva in Italia.

Qual è il motivo?
In primo luogo, la manodopera e la materia italiana costano di più. Il pomodoro tricolore ha un prezzo più alto perché viene coltivato con metodi salubri e sostenibili. Esistono rigidi disciplinari che ci obbligano ad adottare queste tecniche di coltivazione. Penso, ad esempio, al disciplinare Qc - Qualità controllata in vigore in Emilia Romagna. In altri paesi, invece, mancano regole e controlli del genere. Quindi l'uso di insetticidi è meno controllato e ci ritroviamo, poi, con pomodori che arrivano in Italia con elevate quantità di sostanze chimiche tossiche. È l'utilizzo della chimica in agricoltura che fa la differenza.

Nascono poi complicanze per il settore conserviero nazionale?
Non ci sarebbe assolutamente nulla di strano se i prodotti esteri importati in Italia venissero dichiarati per quello che effettivamente sono. Non è vietato importare concentrato dalla Cina o da qualche altra parte del mondo. Se però, poi, viene venduto nel nostro Paese e all'interno della Comunità europea deve pagare i dazi di importazione. Inoltre, la Legge italiana impone di dichiarare in etichetta l'origine della materia prima. Quindi, se il concentrato straniero viene utilizzato per creare un prodotto di consumo destinato alla Gdo italiana, bisogna avere il coraggio di esplicitare la sua provenienza. Il problema, però, è che non viene detto. E qui nasce la frode alimentare.

È solo il mercato del Bel Paese a essere popolato da truffe del genere?
In realtà in tutta Europa è così. La Germania è un mercato pieno di falsi, così come l'Inghilterra.

Come aiutare i consumatori a orientare le proprie scelte a scaffale, soprattutto quando decidono di acquistare referenze italiane?
Esistono alcune linee guide che sarebbe opportuno seguire. Innanzitutto, bisogna diffidare da prezzi eccessivamente bassi, privilegiando prodotti di marca. Nel caso delle passate è utile verificare che si tratti di referenze di qualità, appurando l'origine della materia prima. È chiaro che pomodori di origine straniera espongono i consumatori a rischi più elevati rispetto a referenze 100% made in Italy. Nel Bel Paese non è possibile utilizzare passate di grado Brix la scala che esprime la concentrazione del grado zuccherino - superiore a 12. Il livello, invece, deve aggirarsi intorno a 7,5. Per il concentrato è pari a 28, mentre per il triplo concentrato a 36. Nel momento in cui si acquistano prodotti di importazione, si acquista concentrato 36. Per ridurne il grado zuccherino, allora, le aziende lo allungano con l'acqua. Questa pratica, però, è oggetto di un'altra diatriba.

Ce la spiega?
Molto spesso sui prodotti a scaffale è possibile leggere la dicitura 'Prodotto in Italia'. Ma è legittimo esplicitarlo solo nel momento in cui viene effettuata la lavorazione sostanziale.

Di cosa si tratta?
Un triplo concentrato cinese che, in Italia, viene allungato con acqua e si trasforma in doppio concentrato subisce la cosiddetta trasformazione sostanziale. E, quindi, sull'etichetta può essere esposta la dicitura 'Prodotto in Italia'. Ma non si può assolutamente dire che provenga da pomodoro italiano. Proprio a tal proposito, nel 2017 è stato istituito l'obbligo di dichiarare l'origine della materia prima in etichetta. Prima di allora, infatti, non era chiaro cosa volesse dire che una referenza fosse interamente made in Italy.

FONTE: Grocery & Consumi - Aurora Erba - 03/09/2021 pg. 30 N.8/9 - ago/set 2021

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06/09/2021, 19:17
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ETICHETTATURA DEGLI ALIMENTI: IL REGOLAMENTO 1169/2011, LA DICHIARAZIONE NUTRIZIONALE, CLAIM DA REGOLAMENTO 1924/2006, CLAIM PUBBLICITARI E L’ETICHETTATURA AMBIENTALE DEGLI IMBALLAGGI
3 APPUNTAMENTI FORMATIVI ON-LINE, DI CIRCA 2,5 ORE - PER AFFRONTARE LE NORME COGENTI ED I DUBBI DEGLI OPERATORI
27 SETTEMBRE; 4 E 11 OTTOBRE 2021

ISCRIZIONI APERTE
Dopo l'elevato numero di adesioni alla sessione di fine giugno e luglio, abbiamo deciso di proporre nuove date, con una sessione anche a settembre/ottobre, così da garantire adeguata interazione, limitando il numero di partecipanti.
L'evento è strutturato come formazione a distanza, con un numero limitato di partecipati, per consentire lo stesso livello di interazione con i relatori che ha sempre caratterizzato le nostre iniziative in aula. Gli argomenti, suddivisi in moduli, consentiranno brevi sessioni, in modo da essere meglio recepiti e meno impattanti sulle altre attività lavorative.

L'obiettivo è fornire l'esatto approccio nella redazione delle etichette dei prodotti alimentari, affrontare particolarità ed eccezioni, rivolgendoci agli addetti del settore che si occupano o concorrono alla realizzazione delle etichette dei prodotti alimentari, dall'area qualità al marketing, fino all'area commerciale.
Esaminare il contenuto delle norme vigenti in materia, in particolare il Reg. UE 1169/2011 relativo alle informazioni sugli alimenti destinati ai consumatori. Analizzare i diversi campi obbligatori per le indicazioni da riportare in etichetta, a partire dalla denominazione di vendita sino all'indicazione del responsabile delle informazioni, oltre a cenni sull'etichettatura ambientale degli imballaggi;
Approfondire gli obblighi definiti dal Reg. 2018/775 circa l'obbligo di indicazione di origine per l'ingrediente primario;
Affrontare alcuni esempi pratici di Dichiarazione nutrizionale, secondo il Reg. UE 1169/2011, e i casi di deroga per taluni prodotti;
Commentare, infine, le diciture facoltative maggiormente utilizzate in etichetta, quali ad esempio i claims nutrizionali e salutistici, senza glutine e senza lattosio, oltre ai messaggi prettamente pubblicitari più diffusi.

UnionAlimentari-Confapi

Roma, 8 Settembre 2021

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08/09/2021, 20:55
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