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De Arte Sacra Agriculturae 
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Milli, veramente notevole quello che hai riportato! Grazie di cuore!

Conoscevo il tempio Malatestiano, che è indubbiamente una delle principali roccaforti della rinascita neo-platonico/pagana del rinascimento italiano. Ho letto al riguardo un articolo del saggista Moreno Neri, che oltre ad esser considerato uno dei maggiori conoscitori di questa grande opera, è anche un grande esperto di filosofia antica, ermetismo e simbologia. Non so se hai mai avuto modo di leggerne qualche scritto, ma te lo consiglio vivamente.
Penso tu sappia che Sigismondo volle riporre all'interno del tempio le ceneri di Giorgio Gemisto Pletone, il filosofo greco che nel XV secolo con un suo viaggio in Italia, diede nuovo impulso e linfa allo studio dei classici, influenzando gran parte dei più importanti pensatori, artisti e uomini d'arme dell'epoca, tra cui il Malatesta stesso.
Non dimentichiamo inoltre che lavorò alla progettazione del tempio una delle più limpide menti di quell'epoca: l'architetto ed umanista Leon Battista Alberti. Anch'egli sommo conoscitore della filosofia pitagorica e neo-platonica.
Capisco quando affermi che nel rinascimento questa rivalorizzazione dell'eredità classica greco-romana rimase piuttosto circoscritta ed elitaria, coinvolgendo principalmente le aristocrazie. Ma ciò a parer mio non significa che questa rinascita fosse meno sentita o vissuta da quegli ambienti. Non dimentichiamoci nel XVI e nel XVII secolo le miriadi di persecuzioni e processi nei confronti dei cosidetti "eretici". La chiesa combatte vivamente tutto ciò perché vi presentì una forte minaccia alla sua autorità. C'era la paura che chi deteneva il famigerato "potere temporale" potesse riavvicinarsi ad un certo sentire. Era sicuramente molto più pericoloso che uomini come Sigismondo Malatesta leggessero i classici, professando amore e simpatia per la filosofia antica, che in qualche villaggio di contadini si continuassero a celebrare feste a divinità pagane mascherate sotto il velo dei santi o della madonna. E sono anche convinto che le aristocrazie (in particolar modo quelle intellettuali) non si limitassero ad una riproposizione meramente "culturale", "artistica" e "razionale", ma che operassero e agissero anche a livello più profondo.. forse addirittura "cultuale".. probilmente di nascosto o mescolando varie dottrine filosofico-religiose in un coacervo sincretistico curiso e stravagante, ma per questo non meno coscienziosamente (vedi un Tommaso Campanella o un Giordano Bruno). Non dobbiamo mai dimenticare che fino all'epoca dell'illuminismo, filosofia non significava soltanto pensare in un determinato modo, ma anche e soprattutto agire, comportarsi di conseguenza. Un po' come ancora avviene in oriente con gli yogi, i lama ect ect..

Non conoscevo invece le decorazioni del castello di Issogne. E mi rendo conto di quante gemme nascoste si trovano sulla nostra terra. Grazie per avercelo fatto scoprire.
Non sbagli a dire che il Melograno era un simbolo di fecondità. Era strettamente collegato alla Grande Madre degli Dei frigia: Cibele. Appena posso, riporterò qualcosa al riguardo. Anche perché si sposa perfettamente con l'avvicinarsi del periodo equinoziale-pasquale.

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Beppe Niccolai


09/03/2010, 15:06
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Ti ringrazio perchè approfondisci con cura le mie citazioni artistiche :D
Come hai ben ricordato, questa reviviscenza classica non avveniva solo a livello di cultura ( poesia e filosofia) ma anche come culto, seppure nascosto.
Ti porto l'esempio più scandaloso: il papa Alessandro VI Borgia. Di tutti gli scandali della sua famiglia che non cito(ci vorrebbe un giorno) vi mostro solo questo quadro, una copia di un famoso affresco distrutto in cui il papa adora la Madonna, la quale ha le fattezze dalla sua amante Giulia Farnese.
http://commons.wikimedia.org/wiki/File: ... guilia.jpg
( questa sarebbe una copia fatta di nascosto allo stesso proprietario, come racconta il Vasari)


Ma ancora più scandalosa e decisamente eretica è la decorazione del soffitto dell'appartamento Borgia in Vaticano.
Con la scusa di rappresentare il toro, simbolo della sua casata, rappresenta interamente il mito egizio di Iside e Osiride, il toro è il dio Api. Si vede la storia dell'uccisione e della successiva resurrezione del dio Osiride. Puoi capire bene come questo mito possa entrare in contrasto-correlazione con quello del Cristo..)

Altrove invece il neoplatonismo era diventato così elitario che anche i dipinti destinati alla loro cerchia erano enigmatici e comprensibili solo con un adeguato bagaglio culturale.
questo dipinto di bellini non è chiaro neppure oggi, si capisce che si tratta di una Allegoria Sacra, ma non è chiaro il perchè di quella disposizione.
http://www.basae.beniculturali.it/openc ... 0SACRA.jpg
qui ci sono alcune ipotesi interpretative:
http://it.wikipedia.org/wiki/Allegoria_sacra

Un altro dipinto famoso e controverso è di certo La Primavera di Botticelli
Immagine
qui puoi trovare le varie possibili ,ma non definitive, interpretazioni:
http://it.wikipedia.org/wiki/Primavera_(Botticelli)

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09/03/2010, 17:22
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Finalmente ho un pochino di tempo e ritorno a scrivere qualcosa in questa discussione.

Nel famigerato quadro del Botticelli, mi ha sempre colpito il fatto che le figure femminili siano tutte evidentemente gravide. I particolari da cogliere sarebbero tantissimi, potremmo starci delle ore, ma questo mi colpì particolarmente perché richiamò in me quanto un giorno scrisse un buon conoscitore dei classici e del rinascimento:

"Quando i nostri antenati, nell'età della pietra, nel paleolitico, scolpivano le effigi della Dea Veneranda non ne ritraevano le fattezze di Madre solo perché le donne le si rivolgessero auspicando di rimanere incinte, né solo perché protegesse le partorienti: sì, tali scpi erano reali, ma dimentichiamo la verità che si nasconde con una semplicità disarmante.. Anzi, non si nasconde per nulla, se non a coloro che non sanno più vedere. Venere ella stessa è incinta! Nella statua vivente, simulacro animato della dea, anche un dio è presente, tra gli dèi sommo e potente: Amor! Il ventre della dea non è ricolmo in riferimento alla maternità delle donne che la venerano, ma in riferimento alla propria maternità!
Nella sacralità della raffigurazione più antica di Venere gli antichi, quando ancora vivevano vicini agli dèi, ci insegnano che il ventre della dea non è vuoto, è pieno! Ma pieno non vuol dire gonfio: vuol dire che è nella sua pienezza.. tutto è già perfetto, Amore deve solo mostrarsi, rivelarsi, uscire, egli eterno e invincibile, dall'utero della Madre, dal caos primordiale, così come ogni uomo, ogni vivente, pieno del fuoco di Amore, generato in Amore, da Amore."


E ciò ci riconduce anche alla fontana della melagrana in ferro battutto di cui sempre Milli ci ha cortesemente fatto segnalazione. Il suo frutto - ma in genrale un po' tutti i frutti - non ricorda forse la rotondità di un ventre materno? E i semi che esso contiene: non sono forse come i suoi figli?
La melagrana simboleggia il rinnovarsi del cosmo. E' collegata alla Grande Madre, alla signora che regola i destini, che trama, fila i fati dell'esistenza nel suo perenne e ciclico susseguirsi di vita, morte e rinascita.
Innumerevoli sono le leggende collegate a questa pianta e al suo frutto nell'area mediterranea, sia in ambito "politeistico" che in quello "monoteistico". Elencarli tutti richiederebbe maggior tempo e spazio. Ed è anche simbolo di unione, di concordia e di pienezza.

Da qui, all'avvento della primavera. Presso tantissimi popoli si celebravano in questi periodi rituali strettamente legati a miti di morte e rinascita. Tanto per fare qualche nome: Tammuz, Adone, Dioniso ect ect.
Anche la nostra pasqua, festa ancor più centrale e importante del Natale per i cristiani, affonda le sue origini in tempi più remoti e trae linfa da quelle che sono state definite religioni cosmiche. Il famigerato mistero di morte e resurrezione, non era affatto incomprensibile ai pre-crstiani, come purtroppo più volte vogliono farci credere dall'altare certi preti saccenti.
Ma il nome Pasqua affonda le radici nel mondo semitico-ebraico, da cui il cristianesimo è sorto. Pasqua deriva da Pesah, letteralmente <<saltare oltre>>, in ricordo della notte in cui Yahweh <<saltò oltre>>, ovvero oltrepassò le case degli Israeliti in Egitto che erano state constrassegnate con il sangue dell'agnello sacrificale, risparmiando così i primogeniti maschi di quelle famiglie. Ma prima di questa "storicizzazione", il rito risaliva ad un'arcaica celebrazione comunitaria, quando gli ebrei erano ancora un popolo di pastori semi-nomadi, e come in tutte le popolazioni semitiche dell'epoca, solevano celebrare il rinnovamente del cosmo a primavera durante la notte di plenilunio precedente la partenza per i pascoli estivi. Si sacrificavano così i primi nati del gregge, spargendo poi il sangue su capanne e animali, in funzione apotropaica, protettiva e per assicurarne fecondità e prosperità. Poi si consumava la carne in un pasto comune e si eseguiva una danza cultuale, che consiteva in una serie di salti ritmici e figurati, che mimavano per l'appunto un <<saltar oltre>>, un passaggio da una fase all'altra del tempo.
Per i crisitiani, Cristo, morendo nella specifica ricorrenza della Pesah ebraica, diviene per i suoi fedeli il vero agnello sacrificale, l'agnello di Dio, colui che redime dalla schiavitù del peccato e libera le anime. Ma egli, rispetto all'agnello ebraico, risorge, torna alla luce, così come alla luce tornano Dioniso e Tammuzo e Adone, altre ipostasi divine del mistero di morte e resurrezione primaverile.

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Beppe Niccolai


26/03/2010, 12:26
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Sunmyra, mi sa che questo post lo leggiamo solo noi! :lol:
Approfittando del momento per fare gli auguri di Pasqua a chi legge, sicuramente saprai come si decide il giorno in cui cadrà questa ricorrenza.
Osservando il calendario si cerca l'equinozio di primavera ( 21 marzo) da qui si scorrono i giorni fino a trovare la prima luna piena. La domenica successiva a questa sarà il giorno di Pasqua.
Non l'avevate mia notato? ;)
Sunmyra, sai perchè succede in questo modo? sicuramente ciò mi fa pensare a qualche legame con un rito antico, ma di più non so.

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31/03/2010, 18:00
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Milli li leggo anch'io questi post e li trovo estremamente interessanti,ma spesso sono troppo lunghi ed ho il p.c. a disposizione per poco tempo quindi non ce la faccio a seguire tutto,ma voi continuate pure mi piacciono molto :)
un saluto
miria


31/03/2010, 21:34
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milli ha scritto:

Approfittando del momento per fare gli auguri di Pasqua a chi legge, sicuramente saprai come si decide il giorno in cui cadrà questa ricorrenza.
Osservando il calendario si cerca l'equinozio di primavera ( 21 marzo) da qui si scorrono i giorni fino a trovare la prima luna piena. La domenica successiva a questa sarà il giorno di Pasqua.

Sunmyra, sai perchè succede in questo modo? sicuramente ciò mi fa pensare a qualche legame con un rito antico, ma di più non so.


Mi scuso per il ritardo con cui rispondo a questa domanda.
Ma sai che non mi ricordavo di questa particolarità nel calcolo della pasqua.. !?! :? :roll: :?
Il bello è che ne ero a conoscenza, perché l'ho ben sottolineata su un libro, ma l'avevo completamente dimenticato. Comunque, nel libro che ne parla, non vengono elencati con precisione i motivi di questa scelta calendariale. Magari dovrei legger con più attenzione quei capitoli, gli ho dato solo una ripassata veloce.. Se scovo qualche novità non tarderò a comunicarla.

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10/04/2010, 10:34
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Bene.. non ho individuato niente di preciso che si riferisca alla scelta della domenica dopo il plenilunio successivo all'equinozio di primavera. Cioè niente che si ricolleghi ad antichi riti, se non quanto riportato riguardo all'arcaica celebrazione della pasqua ebraica (festa pastorale).

Ma già che abbiamo parlato di feste pastorali, vorrei riportarne all'attenzione una in particolare: quella che si connette alla fondazione di Roma. Non so quanti di voi sanno che l'antica tradizione romana voleva che la fondazione dell'urbe, operata tramite il famigerato solco romuleo, cadesse il 21 aprile dell'anno 753 a.c. Ecco: il 21 aprile era per i popoli albano-latini un'antica festa collegata alla pastorizia. E questo carattere pastorale non fu mai perso nella liturgia, anche nella Roma tardo-repubblicana e imperiale che era ormai molto distante da quei gruppi di capanne di agricoltori-pastori federatisi intorno ad un Re (titolo che comunque va considerato molto differente dal concetto che abbiamo oggi di Re). Ciò a dimostrare che, nonostante tutto, i romani non avevano dimenticato le loro arcaiche origini ed anzi le rivendicavano con un certo orgoglio.
Ma parliamo di questa festa:

Parilia (21 aprile)

"E' il giorno natale di Roma. [..] Per intendere al modo romano i riti della giornata, seguiamo comunque il quadro che ce ne dà Ovidio: purificazioni di persone, di pecore e ovili: preghiere espiatorie e impetratorie rivolte alla dea Pales; libagioni e offerte alla stessa dea.
Ovidio per i mezzi di purificazione usa, oltre al solito termine februa, anche il termine suffimina che indica cose che vanno bruciate, per fare effetto, con il fumo. Tali cose erano: sangue di cavallo, cenere di vitello e steli di fava. Il cavallo di cui si utilizzava il dangue era quello di destra della biga vincitrice di una corsa rituale che aveva luogo il 15 ottobre; ne parleremo a suo tempo. Questo sangue veniva fatto bruciare sul fuoco della Reggia; le ceneri della legna che l'aveva <<cotto>> venivano conservate dalle vestali. Il vitello di cui si utilizzava la cenere, ugualmente affidata alle vestali, era il feto estratto dalla vacca pregna sacrificata il giorno dei Fordicidia (15 aprile); per la precisione erano le ceneri degli exta di questo feto, come si è visto in precedenza. Quanto agli steli di fava, parrebbero costituire ciò che nel linguaggio farmaceutico viene detto eccipiente: se il suffimen doveva servire a chiunque ne facesse richiesta alle vestali - e in teoria lo richiedevano tutti i cittadini per celebrare degnamente i Parilia - le poche ceneri del sangue di cavallo e degli exta di un feto bovino non sarebbero bastate. Perciò immaginiamo che venissero sparse su grossi mucchi di steli di fava e che materialmente le vestali consegnassero di questi steli da usare per i suffumigi rituali.
Dunque, si andava al tempio di Vesta e ci si procurava il suffimen, quindi lo si bruciava su un fuoco appositamente acceso; si saltava tre volte questo fuoco e ci si aspergeva d'acqua mediante un ramoscello d'alloro. Il salto sul fuoco e l'aspersione d'acqua costituivano un rito chiamato suffitio che si compiva anche per purificarsi dopo esser stati ad un funerale; lo dice Festo, il quale, come del resto Ovidio, si chiede perché proprio l'acqua e il fuoco sono stati scelti per purificare, e risponde << perché queste due cose soprattutto tengono in vita gli uomini>>. Anche Ovidio dà, tra le altre, una risposta del genere: << Perché in esse è la fonte (causa) della vita.>> [..]
Sempre con acqua e fuoco si purificava a sera il gregge e l'ovile. Si lavava e si spazzava il pavimento. Si ornavano le pareti con fronde e la porta con festone di fiori. Si bruciava zolfo su un fuoco di legna resinosa, rami di ginepro e foglie d'alloro. Si offrivano a Pales focacce di miglio in un paniere di miglio, latte e cibi esclusivamente vegetali, dato che << in occasione dei Parilia era proibito uccidere vittime sacrificali al fine di preservare pura dal sangue questa giornata>>. Le offerte alla dea venivano distribuite tra i presenti che le consumavano ritualmente. Si pregava Pales con preghiera che veniva ripetuta quattro volte, guardando verso l'oriente. L'officiante infine beveva da una ciotola latte mescolato a mosto cotto e faceva un salto sul fuoco.
La preghiera a pales chiedeva una generica protezione per greggi e pastori, nonché l'allontanamento dei mali che potrebbero derivare dall'aver compiuto infrazioni nell'esercizio della pastorizia, quali: violare un luogo sacro, far brucare le pecore sulle tombe, entrare in un bosco interdetto, intorbidare l'acqua di sorgente; infine postulava abbondanza di pascoli e di acque, abbondanza di latte, abbondanza di parti e buona qualità delle lane.
Pales era la dea che presiedeva alla pastorizia: tanto ci assicura Ovidio e ogni altra fonte. Però se certo è il suo campo d'azione, incerto è il suo sesso, infatti << alcuni, tra cui Varrone, ne danno nome maschile>>. Tale incertezza non fa meraviglia: la religione romana, demitizzata e demitizzante, prestava più attenzione al campo d'azione divino che non al sesso delle divinità, tant'è che in certi casi particolari prescrivevano che si usasse la formula cautelativa << sia tu un dio o una dea>>."


Dario Sabbatucci - La Religione di Roma antica, dal calendario festivo all'ordine cosmico.

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17/04/2010, 14:22
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Molto interessante. Questi riti donavano alla vita quotidiana e alle sue attività un'aura di sacralità, che la rendevano più pregna di senso. E si dava giusta considerazione ai prodotti dell'agricoltura e della pastorizia che rendevano possibile la vita dell'uomo. Nulla di ciò che arriva dalla terra era dato per scontato.
Magari ci fosse ancora oggi una minima parte di tutto ciò! ( ovviamente non parlo delle liturgie, ma della considerazione per la terra e i suoi prodotti).
Ancora un volta grazie, Sunmyra.

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20/04/2010, 19:04
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Così il poeta Ovidio riproduce la preghiera in onore della dea Pales,:

“Proteggi il gregge e insieme al gregge i pastori
e fuggano i malanni, scacciati dalle mie stalle.
Se pascolai in scaro suolo, o sedetti sotto un albero sacro,
o una mia pecora ignara brucò erba da una tomba,
se entrai in un bosco proibito,
e furono dal mio sguardo messe in fuga le ninfe
o il dio capro a metà,
se la mia falce spogliò d’ombroso ramo una selva sacra,
le cui foglie offrii in un cestello a una pecora malata,
perdona la mia colpa,
e non mi noccia l’aver messo al riparo in un agreste tempio
il mio gregge mentre grandinava.
Né mi sia danno aver turbato una fonte:
perdonatemi o Ninfe,
se con gli unghiati piedi del gregge intorbidai le acque.
Tu, o dea, placa in nostro favore le fonti,
e i numi delle fonti, e gli dei sparsi per tutti i boschi.
Fa’ che possa non vedere le Driadi,
né Diana che si bagna,
né Fauno quando a mezzogiorno giace sdraiato nei campi.
Scaccia lontano le malattie,
godano buona salute gli uomini e le greggi,
e anch’essi i cani, provvida turba.
Fa’ che a sera non riconduca capi di bestiame
Meno numerosi che al mattino,
né gema riportando velli strappati al lupo.
Stia lontana l’iniqua fame,
e abbondino erbe e fronde,
e acque per lavarsi e per bere.
Ch’io possa mungere colmi uberi,
e denaro frutti il mio cacio,
e i radi vimini lascino colare il liquido siero;
sia sempre lascivo il capro,
e la capra si sgravi del feto di cui era pregna,
e siano molte le agnelle nel mio ovile;
e ne provenga una lana che non punga le fanciulle,
soffice e adatta a mani tenere quanto si voglia.
Accada quanto io prego,
e noi anno per anno
offriremo grandi focacce a Pale,
signora dei pastori”.


Così invece cantava Orazio nel suo Carmen Saeculare il giorno della nascita di Roma:

"Febo e Diana dea delle foreste

onore dei cieli splendido, onorati

sempre e onorandi, oh esauditeci in questi

giorni solenni

in cui prescrisse il sibillino carme

che vergini e fanciulli scelti e puri

cantino un inno per gli Dei che i sette

colli hanno cari!

Sole divino, che apri e chiudi il giorno

con l'aureo carro sempre eguale e nuovo

sorgi, deh nulla mai veder tu possa

maggior di Roma!

Tu, che sai blanda schiudere i maturi

parti, le madri tu proteggi, Ilizia,

o che Lucina esser nomata voglia

o Genitale.

Cresci la prole, prospera i decreti

dei Padri, o Diva, per le muliebri

nozze, e la legge maritale di nuova

prole feconda,

onde egual ciclo d'anni cento e dieci

riconduca i ludi e i cantici, tre volte

nel chiaro dì, tre volte nella lieta

notte affollati.

Voi che veraci annunziaste, o Parche,

gli eterni fati che sicuri eventi

confermeranno, ai fatti antichi buoni

fati aggiungete!

Di messi e greggi fertile la terra

serti di spiche a Cèrere offerisca;

nutrano i frutti l'acque e le salùbri

aure di Giove!

Placido e mite, or ch'hai riposto il dardo,

ascolta, Apollo, i supplici fanciulli;

Luna, bicorne dea degli astri, ascolta

tu le fanciulle!

Se opera vostra è Roma, e se all'etrusco

lido approdò quella troiana schiera

cui nuovi Lari e nuova città con lieto

corso assegnaste,

cui senza infamia tra le fiamme d'Ilio

libero varco il casto Enea dischiuse,

al patrio suol superstite per dargli

sorte più grande,

Dei, buon costume ai giovini sottommessi

date e ai vegliardi placida quiete;

Dei, beni e prole alla romùlea gente

date e ogni gloria;

e quanto, offrendo bianchi buoi, l'illustre

sangue d'Anchise e Venere vi chieda,

egli l'ottenga, egli nell'armi altero,

mite coi vinti.

Già teme il Medo la sua mano, potente

per terra e in mare, e le latine scuri;

già Sciti ed Indi, poco fa ribelli,

chiedon leggi.

Già Fede e Pace, e Onore e il Pudore prisco

Osano tornare, e la Virtù negletta;

e già beata col suo corno pieno

viene l'Abbondanza.

Se Apollo, adorno dello splendido arco,

àugure e amico delle nove Muse,

che i corpi infermi con la sanatrice

arte ristora,

guardi benigno i Palatini colli,

di lustro in lustro egli proroghi il romano

stato ed il Lazio a liete sorti e a tempi

sempre più belli,

mentre Diana, che Algido e Aventino

regna, dei quindecemviri le preghiere

ascolti, e benigno ai voti dei giovinetti

porga l'orecchio!

Buona e sicura la speranza io reco

che Giove e tutti i Numi vogliano questo,

io, coro istruito a celebrar nel canto

Febo e Diana."


Questo invece è un componimento moderno, che celebra l'unità d'Italia sotto il segno di Roma, ma che però ha molto di antico (chiari i riferimenti al Carmen Saeculare di Orazio), non dimenticando di menzionare né i pastori, nè gli agricoltori.
E' l'Inno a Roma scritto da Fausto Salvatori e musicato da Giacomo Puccini.

"Roma divina, a Te sul Campidoglio
dove eterno verdeggia il sacro alloro
a Te nostra fortezza e nostro orgoglio,
ascende il coro

Salve Dea Roma! Ti sfavilla in fronte
il Sol che nasce sulla nuova storia;
fulgida in arme, all'ultimo orizzonte
sta la Vittoria.

Sole che sorgi libero e giocondo
sul colle nostro i tuoi cavalli doma;
tu non vedrai nessuna cosa al mondo
maggior di Roma.

Per tutto il cielo è un volo di bandiere
e la pace del mondo oggi è latina:
il tricolore canta sul cantiere,
su l'officina.
Madre che doni ai popoli la legge
eterna e pura come il Sol che nasce,
benedici l'aratro antico e il gregge
folto che pasce!

Sole che sorgi libero e giocondo
sul colle nostro i tuoi cavalli doma;
tu non vedrai nessuna cosa al mondo
maggior di Roma.

Benedici il riposo e la fatica
che si rinnova per virtù d'amore,
la giovinezza florida e l'antica
età che muore.
Madre di uomini e di lanosi armenti,
d'opere schiette e di penose scuole,
tornano alle tue case i reggimenti
e sorge il sole.

Sole che sorgi libero e giocondo
sul colle nostro i tuoi cavalli doma;
tu non vedrai nessuna cosa al mondo
maggior di Roma"

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Beppe Niccolai


21/04/2010, 8:20
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Di qui in avanti avrò sempre meno tempo per scrivere a causa del lavoro. Dunque, per non abbandonare del tutto questa discussione - ovviamente chi ha qualcosa da raccontare al riguardo è liberissimo di farlo, anzi ben venga!! - ho deciso di segnalare quei libri e quegli autori che al rapporto tra sacro e agricoltura, anche se non specificatamente, hanno dedicato molte pagine delle loro opere. Alcuni li conosciamo già, perché né ho spesso riportato dei brani, altri no.
Comincerei segnalando un libro di un autore che ho citato più volte:

Immagine

Questo libro, il cui titolo richiama la dea Flora - che nell'antica Roma aveva la funzione di proteggere tutte le piante utili all'uomo nel momento delicato della fioritura - è un viaggio nell'immaginario ispirato dall'universo vegetale. Un viaggio in paesi reali e fantastici attraverso riti pagani, ebraici, cristiani, musulmani, induisti, shintoisti, taoisti e buddhisti, in cui si incontrano divinità e protagonisti di favole, miti e leggende, si rievocano proverbi e usanze, si riscoprono poesie e opere d'arte.
Ma Florario è anche un itinerario religioso, non solo perché vi compaiono personaggi biblici e santi ma anche perché, come ha scritto Ernst Jùnger, «un arcobaleno invisibile circonda quello visibile» e il mondo delle piante non è che una delle molte manifestazioni delle energie sovracosmiche.
Alfredo Cattabiani ricostruisce sapientemente questo universo vegetale grazie alle sue conoscenze nel campo della fenomenologia religiosa, del simbolismo e delle tradizioni popolari, e suggerisce, pagina dopo pagina, in uno stile che sposa la chiarezza alla levità, percorsi di approfondimento per chi voglia e possa giungere là dove una pianta non è soltanto una pianta.


Alfredo Cattabiani - (Torino, 26 maggio 1937 – Santa Marinella, 18 maggio 2003) è stato uno scrittore e giornalista italiano. studioso di storia delle religioni, di simbolismo e di tradizioni popolari, è stato direttore editoriale di tre case editrici dal 1962 al 1979 (Edizioni dell'Albero. Borla e Rusconi) e ha collaborato a vari quotidiani e periodici italiani e stranieri. Autore di numerosi saggi e volumi, ha inoltre tradotto o curato opere di Antonio Rosmini, Joseph de Maistre, Simone Weil, Georges Bernanos, Jules Barbey d'Aurevilly, Pierre Drieu La Rochelle e Baltasar Graciàn.

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Beppe Niccolai


04/05/2010, 8:00
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