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Morie di api: quando il colpevole viene da lontano 
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Dal mondo accademico indice puntato contro i cambiamenti climatici, responsabili principali della diminuzione delle popolazioni apistiche mondiali
Donatello Sandroni

Api, influenza dei fenomeni climatici e ambientali
Che il clima non influisse solo sull’umore è cosa nota. Che lo stress indotto dalle recenti modifiche climatiche potesse costituire la più importante premessa all’impatto sulle api, pochi lo supponevano. E’ in questa chiave di lettura che l’Università degli Studi di Milano ha comunicato i dati delle propria “Ricerca su possibili influenze dei fenomeni climatici e ambientali quali fattori determinanti l’assottigliamento delle popolazioni apistiche mondiali”. Al Circolo della Stampa di Milano, Umberto Solimene, del Centro ricerche in Bioclimatologia Medica, Biotecnologie e Medicine Naturali e Vincenzo Condemi, responsabile di Biometeolab, hanno condiviso con la stampa le evidenze scientifiche da loro individuate sul tema.


“Risale a Ippocrate – esordisce Solimene – la prima considerazione degli aspetti climatici sulla salute dell’uomo”. Per il fondatore della medicina, perfino l’esposizione di una città, i venti dominanti, le stagioni, avevano un effetto generale sulla salute che non poteva non essere considerato quando un medico fosse chiamato a calarsi nel caso particolare. Molto più recentemente, il Phoen è stato correlato con le statistiche sugli incidenti stradali, perché questo vento caldo influiva sui livelli di attenzione degli automobilisti più delle piogge o della neve. Stessa evidenza a Milano, dove il numero minimo di incidenti è nei periodi piovosi e massimo in quelli ventosi. Quindi il cambio di clima va inteso soprattutto come una fonte di stress che influisce sui nostri comportamenti, sulle nostre forze, sul nostro sistema immunitario. Ma i cambiamenti climatici hanno influenze anche su di una miriade di fenomeni differenti, amplificandone o comprimendone le manifestazioni. Dalla biodiversità al turismo, dall’agricoltura all’approvvigionamento idrico. Le teorie allarmistiche sul futuro del mondo si scontrano ovviamente con quelle tendenti a minimizzare. Di certo, il clima tenderà a cambiare verso il caldo ancora per alcuni decenni.

Per Solimene, l’ape può essere considerato un micromodello biologico aperto, idoneo allo studio delle interazioni con il clima. La “Colony Collapse Disorder” implica, come anomalie, la scomparsa immediata degli adulti, ma con assenza di cadaveri negli alveari. Favi, miele, e polline sono in ordine all’interno nelle arnie. L’ape regina appare in perfetta forma, anche per l’ovideposizione, ma resta privata delle api che l’accudiscono. Inoltre è stata osservata la mancanza di saccheggio da parte di altre colonie, prassi abituale in altri casi, come pure la tarma della cera non subentra come normalmente avviene. Tutti eventi ancora da spiegare debitamente. Solimene ricorda come si debba tenere conto anche delle alterazioni del campo magnetico terrestre e delle influenze locali di campi eletromagnetici prodotti dalle attività antropiche. Come pure l’eventuale influenza di tutti gli agenti chimici immessi dall’uomo nell’ambiente, e non solo gli agrofarmaci.

La ricerca è stata condotta su due serie storiche di dati, avendo record risalenti fin al 1850: da fine XIX sec al 2008 la temperatura media è aumentata di circa 1,3 °C. Si stima un ulteriore aumento di 1,5 °C nei prossimi decenni. Soprattutto i mesi di fine inverno e di fine autunno hanno mostrato innalzamenti significativi. Perdite simili di colonie risalgono in bibliografia al 1868, quando già si segnalavano casi di questo tipo (Tennessee USA). Nel corso del XIX secolo se ne sono ripetuti svariati, come pure negli anni ’60 e ’70 si sono concentrati molti di questi fenomeni, quasi ci fosse una ciclicità temporale. Le diminuzioni delle popolazioni colpisce specialmente negli USA, in UE e in Australia. Soprattutto l’emisfero nord è infatti interessato al fenomeno. Questo anche perché tra il 40° e il 70° parallelo si sono avuti gli innalzamenti più marcati di T° media. Soprattutto negli ultimi 10 anni. Si è evidenziato di concerto un anticipo della primavera, della fioritura, della migrazione degli uccelli e della deposizione di uova. Le modifiche climatiche hanno infine indotto uno spostamento verso il Polo di specie animali e vegetali.

La primavera e l’autunno, quindi, hanno di fatto eroso l’inverno. Il processo di innalzamento delle temperature si estremizza al Polo Nord proprio tra dicembre e febbraio. Menxel et al. (Global Change Biology) hanno inoltre dimostrato come il 78% di ben 542 specie vegetali e animali abbia mostrato alterazioni delle dinamiche di popolazione (spostamento verso nord, anticipi nei cicli etc.). Per le api, analogamente, sono ipotizzabili degli sfasamenti nei cicli, con anticipi marcati dei voli, a volte disassati rispetto la presenza di pollini e nettare. L’inverno 2006-2007 è stato quello in assoluto più caldo degli ultimi decenni. Basti ricordare come a fine gennaio in Finlandia ci fossero 6°C di temperature medie, contro i sottozero soliti. I fenomeni di riduzione delle popolazioni sono partiti in modo marcato proprio dopo quell’inverno. Inoltre, con le covate precoci, e addirittura con quelle invernali, si favoriscono più cicli di Varroa.

Anche le difese immunitarie giocano un ruolo fondamentale: un processo di stress inizia con una fase di adattamento, poi si passa alla compensazione, si arriva infine al collasso dei sistemi. L’ape, contro lo stress, ha una forma di automedicazione appena inizia i voli: il sambuco, con forte potere antinfiammatorio. Il disallineamento dei cicli potrebbe aver anche ridotto questa “cura” di inizio ciclo. Solimene e Condemi, in base agli studi effettuati, ritengono che il fattore clima abbia contribuito per almeno un 50% sulle morie delle api, sensibilizzando in modo profondo le popolazioni verso tutti gli altri fattori, incluso quello chimico. Non è un caso, quindi, che i ritorni di api segnalati in questa primavera siano dovuti in buona parte all’inverno finalmente tornato lungo e freddo, con una primavera giunta puntuale, dopo la tanto citata “mezza stagione” di cui ci si lamentava del fatto che non esistesse più.

Di certo, è meno facile (e utile per gli interessi di taluni) puntare il dito contro l’effetto serra e l’aumento di temperatura globale, i cui responsabili vanno cercati in ogni attività antropica legato al progresso. Come pure ben poco si può contro la diminuzione progressiva del campo magnetico terrestre. Tutti processi su scala mondiale, certamente non evitabili per decreto.

Fonte: Università degli studi di Milano - Centro ricerche in Bioclimatologia Medica, Biotecnologie e Medicine Naturali

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18/05/2009, 7:58
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Le malattie della api - di Elena Nelli
http://www.rivistadiagraria.org/riviste ... brica=2009
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21/06/2009, 12:22
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Ho visto adesso l'articolo riportato sopra.
Nessun commento dagli apicoltori del forum ?
Ci provo io: siamo nel campo delle ipotesi piu' incredibili, accademia pura. A buttar giu' teorie in questo modo sono capaci anche le mie oche.
Cose del tipo: siccome ci sono in atto cambiamenti climatici globali, questi potrebbero essere responsabili del CCD o in generale della riduzione di popolazione apistica mondiale. Punto.

E' noto che nel 2007 la primavera anticipata ha comportato extracicli di varroa, e gli effetti si sono visti in ottobre, unitamente ad un insolito fallimento del trattamento tampone con Api Life Var (timolo). Ma era prevedible gia' a giugno, niente di cosi' "mondiale", ed infatti molti lo avevano previsto. E' stato sufficiente comportarsi di conseguenza con i trattamenti.
E' stato il caso di un anno singolo, niente che possa spiegare la CCD, che non mi risulta riguardare le nostre api (italiane).

Moooolto piu' dimostrabile invece l'effetto degli agrofarmaci, neonicotinoidi in primis (infatti adesso sono vietati ovunque).
Pero' la lobby della chimica spinge per la loro reintroduzione, con l'ipotesi che lo spopolamento apistico sia dovuto a molte cause, e qui si tirano in ballo i campi magnetici, le antenne, il clima, le malattie, gli apicoltori.
A pensar male, verrebbe da piazzare anche il mondo accademico su questo versante, visto il tenore delle "ipotesi" che partorisce.


26/08/2009, 17:47
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ciao eugenio, leggendo il commento di renzo mi vien da dire che ci sei di nuovo :o :? :!: ciao

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26/08/2009, 18:28
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renzo ti quoto in pieno e in toto...
tu non conosci ancora il nostro eugenio.. lui è un po' di parte, quella dell'agricoltura industriale...

eugenio ha scritto:
Di certo, è meno facile (e utile per gli interessi di taluni) puntare il dito contro l’effetto serra e l’aumento di temperatura globale, i cui responsabili vanno cercati in ogni attività antropica legato al progresso. Come pure ben poco si può contro la diminuzione progressiva del campo magnetico terrestre. Tutti processi su scala mondiale, certamente non evitabili per decreto


classico epilogo da lobby... "cause di forza maggiore"... nemico immaginario..
io non ci sto e sò dove puntare il dito..
renzo ha scritto:
Moooolto piu' dimostrabile invece l'effetto degli agrofarmaci, neonicotinoidi in primis (infatti adesso sono vietati ovunque).


se solo si rendessero conto che il 50% delle loro produzioni ci sono grazie al fondamentale contributo delle api avrebbero molto più rispetto

riporto anche io un pezzo di articolo:

L’APAT si preoccupa di quantificare il danno economico dato dalla morte delle api. La preoccupazione maggiore credo sia invece un’altra, e cioè, quanto potremmo vivere senza le api?
Wikipedia riporta una lista di 120 piante alimentari o da foraggio che vengono in tutto o in parte impollinate dalle api. Veniamo così a sapere che
* l’impollinazione è essenziale per il kiwi, le noci brasiliane, le angurie, le zucche, gli zucchini, le noci di macadamia, i maracuja, il cacao e la vaniglia
* l’impollinazione è di grande importanza per i mirtilli, le more, i lamponi, le pere, le pesche, le mandorle, le ciliegie, le amarene, le albicocche, gli avocado, i mango, le mele, il cardamomo, i cetrioli, il coriandolo, le noci di cola, le rape e gli anacardi
* negli altri casi il contributo è più modesto, oppure non conosciuto.
Chi ci assicura poi che i danni alle api domestiche non si diffondano anche ad altri insetti impollinatori selvatici?
Il punto quindi non è tanto valutare il danno economico, ma comprendere, che in molti casi non esiste alternativa all’impollinazione degli insetti: non credo proprio che potremmo mandare gli economisti, i businnes managers e i pianificatori dello sviluppo a saltare da una pianta all’altra per trasportare il polline…
Purtroppo l’idea dell’impollinazione manuale è qualcosa di più di una amara battuta, come ci racconta Naturalnews:
«Se le api scompaiono saremmo costretti ad impollinare a mano molte coltivazioni, come già accade in certe zone della Cina in cui le api sono estinte – afferma l’entomologo Giorgio Celli -. Ogni giorno migliaia di braccianti agricoli si armano di pennelli e salgono sugli alberi per fare il lavoro delle api.» (<----- eugenio, se lo farai dimmelo che vengo a fotografarti :lol: )
Ma quali sono le ragioni di questa scomparsa? Sono state fatte diverse ipotesi in merito, come scrive Lorenzo Cairoli:
Ogni giorno in America è un 11 settembre per le api. Colony Collapse Disorder è l’Osama Bin Laden che le sta sterminando. Ma cos’è di preciso? Un fungo? un virus? gli effetti di un pesticida? Sono le api australiane che hanno infettato le api americane? O dobbiamo credere alla teoria delle radiazioni dei telefonini che alterano il sistema d’orientamento delle api e non gli fanno ritrovare la via del ritorno alle arnie?
Tuttavia qualche sospetto comincia ad andare in una direzione precisa
L’ allarme è stato lanciato dall’Apat e sottoscritto da Francesco Panella, presidente dell’Unione Apicoltori, il quale sostiene che la colpa risiede nei cambiamenti climatici ma soprattutto nell’inasprimento delle infezioni da virus e dall’inquinamento da fitofarmaci.
Pare siano proprio i pesticidi i principali responsabili di questa catastrofe
Sono i pesticidi a far diminuire la produzione di miele perché una quantità eccessiva di queste sostanze si accumula nel polline di cui le api si nutrono. Lo ha scoperto un team di ricercatori dell’Università della Pennsylvania che ha presentato i dati raccolti al convegno della Società Americana di Chimica in corso a Philadelphia. Oltre al polline, gli scienziati hanno analizzato larve, api adulte e la cera dell’alveare, riscontrando la presenza di 70 tipi di pesticidi: in media il polline ne conteneva di sei tipi diversi, ma in un campione ne sono stati individuati ben 31.

Digital Worlds definisce le api una community davvero riuscita, vecchia di 40.000 anni e che è sopravvissuta a ben 3 glaciazioni. Speriamo che di non essere proprio noi a portarla all’estinzione.
Tag Correlate: Api

Post pubblicato da: Tostoini il 22 settembre 2008 - 153 posts su Liquida magazine.


26/08/2009, 18:33
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Per quanto riguarda la moria delle api sicuramente intervengono fattori diversi, ma i trattamenti fitosanitari sono sicuramente tra le cause maggiori, lo sanno tutti, anche se si dice a denti stretti, Saluti Mario


27/08/2009, 8:07
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Probabilmente le cause sono molteplici, come spesso accade in natura.
Ma il grave danno provocato dai prodotti neonicotinoidi mi sembrava dimostrato. Purtroppo il MiPAF, dopo una prima sospensione, sembra averne di nuovo autorizzato l’impiego (non sono riuscito a capire se solo per la barbabietola). E manca, purtroppo, una posizione unica dell’UE.
Verrebbe da pensare che la lobby dell’agro-chimica …
Segnalo un interessante documento dell’Una-Api:
http://www.mieliditalia.it/download/neonicotinoidi.pdf
Ciao,
Marco

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27/08/2009, 10:21
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Pur praticando l'apicoltura da sette anni, abbiamo la fortuna di abitare in zona priva di coltivazioni (ne' estensive ne' altro). Solo un po' di mirtilli, che non hanno patologie richiedenti trattamenti chimici.
E non c'e' mai stata alcuna moria di api. Il 2007 ha fatto eccezione come discusso sopra, ma i motivi sono ben noti ed abbiamo risolto i problemi prima di perdere famiglie.
Per il resto anno dopo anno la popolazione si comporta normalmente (cioe' cresce). Si fanno acrobazie per evitare le sciamature e conseguente aumento di alveari. Idem per altri apicoltori in zona, se sono stati attenti a varroa e peste americana. Diversamente il problema si e' risolto da solo: fine dell'apiario, ma nessun mistero.

Peraltro in Valsugana ci sono zone a coltivazione intensiva (mais e meli) dove gli apicoltori non ce la fanno: le famiglie in primavera crescono fino ad un certo punto, poi smettono e restano gracili. Ergo, niente produzione di miele. Per loro, l'unica soluzione e' spostare il tutto altrove, e quando si tratta di apicoltura da reddito, sono guai.

La conclusione e' che (lasciando perdere il CCD, che non c'entra niente con noi, qualunque ne sia la causa), apicoltura ed agricoltura intensiva non vanno d'accordo. Inutile invocare clima e campi magnetici.


27/08/2009, 13:16
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ciao rezo, la tua foto che vediamo è piccola e tieni sul braccio un volatile che non si distingue, potrebbe essere un falco o qualsiasi uccelo rapace/notturno, per pura curiosità sei membro della LIPU osimpatizzante attivo :?: ciao

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Ciao, no niente LIPU. Il falco si stava mangiando una delle mie galline, cosi' l'ho preso, fotografato e liberato. Per due volte, forse adesso ha imparato ma qui ce ne sono molti. Da vicino e' comunque uno spettacolo.
Indirettamente li ho alimentati per anni, tramite galline, conigli, piccioni e germani. Idem per le volpi, ma adesso i miei animali sono al minimo storico, non c'e' partita con i predatori che girano intorno al maso.


27/08/2009, 14:57
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