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Diffusione e condizioni ambientali del mal dell' esca? 
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Qualcuno conosce un ottima bibliografia per quel che riguarda le condizioni ambientali che favoriscono il mal dell' esca e gli interventi colturali?.


09/08/2016, 17:36
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Strategie di lotta

Non ci sono trattamenti chimici, dopo la definitiva uscita di scena – anche in Francia – dell’arsenito di sodio, che abbiano dimostrato un provato effetto positivo nel limitare i sintomi di mal dell’esca. La lotta quindi deve necessariamente essere costruita su una serie di iniziative e precauzioni da portare avanti con regolarità.

La consapevolezza che il materiale di propagazione può portare già la presenza di infezioni latenti richiede particolari precauzioni:

a) Porre particolare cura nell’accertamento della qualità globale delle barbatelle. Questa, infatti, è sinonimo dell’adozione di buone pratiche di igiene nel vivaio d’origine; pratiche che, in generale, favoriscono una minore diffusione dell’inoculo, e quindi delle infezioni, in vivaio.

b) Preferire materiale di propagazione che abbia subito trattamenti con acqua calda a 50°C in vivaio. Questo metodo riduce molto la presenza di infezioni latenti.

c) Verificare la presenza di segni dell’infezione da parte di agenti del mal dell’esca. Il sintomo più indicativo è la presenza di vasi della cerchia subito intorno al midollo pieni di gomme nere di aspetto catramoso (in genere causata da infezioni di P. chlamydospora). I semplici imbrunimenti, anche se intensi, possono essere determinati dal fungo, ma anche da altre cause e richiedono un accertamento diagnostico preciso.

Nei nuovi impianti i primi sintomi di mal dell’esca possono comparire già nel secondo-terzo anno dall’impianto. La prima operazione da effettuare consiste nel contrassegnare le piante con sintomi certi di esca (basta apporre un nastro colorato che resista nel tempo, se si decide di lasciare la pianta in piedi). Per gli interventi di lotta si possono seguire diversi approcci, dipendenti anche dall’età della pianta che si è ammalata:

a) eliminare dall’inizio dell’impianto tutte le piante sintomatiche e sostituirle con nuove barbatelle. In questo modo si tiene basso l’inoculo in campo e lo sviluppo della malattia è sotto un qualche controllo;

b) potare separatamente le piante segnate, dopo le piante presumibilmente sane, in vista del fatto che in genere hanno ancora una vita produttiva di qualche anno dopo la prima manifestazione dei sintomi, e scartando il raccolto nell’anno in cui la pianta mostri i sintomi nuovamente;

c) in autunno o in inverno tagliare le viti che hanno mostrato forti sintomi di esca alcuni centimetri sotto il legno cariato o alterato, proteggere la superficie di taglio con un prodotto cicatrizzante; nella primavera seguente allevare dal basso un tralcio che sostituisce la chioma in 2-3 anni;

d) non lasciare ai margini del vigneto i tronchi derivati dai tagli di riallevamento o le piante morte dato che possono ospitare corpi fruttiferi o organi di riproduzione degli agenti fungini. Trattamenti chimici di recupero (iniezioni al tronco con triazoli, trattamenti con prodotti biologici) danno sporadiche indicazioni positive, ma molto discontinue e non possono perciò essere attualmente raccomandati.

Tecnica diagnostica

Isolamenti micologici su substrati nutritivi generici (ad es. MA) ed osservazione delle caratteristiche morfologiche delle colonie fungine emerse. Osservazioni al microscopio ottico dei caratteri morfologici del fungo ai fini identificativi.

Estrazione del DNA genomico da tessuti legnosi sintomatici e amplificazione di tale DNA con PCR con primer specie-specifici.
http://agroambiente.info.arsia.toscana. ... edaFito=30

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